di Tommaso Maria Maglione
Sanzioni penali – Reati tributari – Omesso versamento IVA previsto e punito dall’art. 10-ter del D.Lgs. n 74 del 2000 – Concordato preventivo – Versamento scaduto dopo la presentazione della domanda di concordato ma prima dell’adozione del relativo provvedimento di ammissione – Omissione giustificata con il rispetto delle prescrizioni di cui agli artt. 167 e 168 l.fall. – Infondatezza – Scriminante di cui all’art. 51 c.p. – Non sussiste
[Corte di Cassazione, sez. III pen., (Pres. Sarno, Rel. Alessandro), 2 dicembre 2021 – 18 marzo 2022, n. 9248]La procedura di concordato preventivo non inibisce il pagamento di debiti tributari il cui termine di pagamento è successivo al deposito della domanda.
Tale pagamento, ai sensi degli artt. 161, comma 7 e 167 legge fall., effettuato senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria, pur se di natura straordinaria, non comporta la revoca della procedura.
L’obbligazione tributaria è infatti connotata da carattere di specialità al punto che il suo inadempimento è assistito, a certe condizioni, da sanzione penale, contrariamente a quanto avviene per le altre obbligazioni.
REATI TRIBUTARI DA OMESSI VERSAMENTI E CONCORDATO PREVENTIVO: LA DUBBIA APPLICABILITA’ DELL’ART. 51 C.P.
L’ordinanza della Suprema Corte in commento offre l’opportunità di esaminare il rapporto intercorrente tra legislazione penale tributaria e procedure concorsuali; aspetto che prevedibilmente sarà di rilevante impatto pratico, oltre che teorico, in considerazione da un lato della sempre maggiore predilezione dell’ordinamento (in linea con quello comunitario, da ultimo espresso con Direttiva n. 2019/1023) per la soluzione concordate delle crisi d’impresa, maggiormente idonea a garantire la sopravvivenza della medesima e la tutela dei livelli occupazionali; predilezione che lascia fondatamente ritenere che tale rimedio tenderà sempre più spesso a sostituirsi a quello che, ancora per poco, è il fallimento e le procedure concorsuali classiche. Dall’altro, gli effetti della lunga crisi pandemica, aggravati da quella indotta dall’aggressione armata all’Ucraina, si sono manifestati, e prevedibilmente continueranno a farlo, con la carenza di liquidità delle imprese ed il sempre maggior ricorso alla c.d. evasione da riscossione, ovvero il corretto e fedele adempimento degli obblighi dichiarativi ma l’omissione dei correlati versamenti; evasione da riscossione da qualche anno presidiata da apposito sistema sanzionatorio penale.
La vicenda giudiziaria trattata nella pronuncia in commento iniziò il 24 aprile 2018, allorquando la società “Sunset Srl” presentò al Tribunale di Benevento ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, con riserva di deposito del piano e della relativa documentazione. Il 2 maggio 2018 il Tribunale concesse alla società un termine perentorio per il deposito della documentazione, statuendo che per i pagamenti di importo superiore ad euro 50.000 sarebbe stata necessaria l’autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria.
Il 27 luglio 2018 la società presentò il modello IVA concernente l’imposta dovuta per l’anno 2017, pari ad euro 521.440; il relativo importo non era stato versato dall’azienda che, come noto, sarebbe incorsa nel reato di omesso versamento previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000 solo in caso l’omissione fosse perdurata oltre il termine del 27 dicembre 2018.
La domanda di concordato, corredata dal piano (che comprendeva anche la proposta di transazione fiscale), fu depositata il 29 novembre 2018 e il tribunale fallimentare, in data 26 giugno 2019, adottò il provvedimento di ammissione alla procedura concorsuale.
In data 8 luglio 2021 fu emesso dal GIP del Tribunale di Benevento un decreto di sequestro preventivo in relazione al reato di cui all’art 10 ter del decreto legislativo n. 74 del 2000 contestato all’indagato (mancato versamento IVA); quest’ultimo, in data 29 luglio 2021, ottenne l’annullamento di tale decreto da parte del tribunale del riesame.
Tale ordinanza veniva successivamente impugnata in cassazione da parte del PM, sulla base di una diversa interpretazione degli articoli 10 ter, 51 c.p., 167 e 168 della legge fallimentare; secondo la difesa erariale, il Tribunale del riesame avrebbe infatti erroneamente considerato insussistente il fumus commissi delicti del reato, in base al quale sarebbe stato giustificato il sequestro preventivo, applicando la scriminante di cui all’art 51 c.p. sulla base del fatto che l’inadempimento fosse stato di fatto imposto dalle prescrizioni di cui agli articoli 167 e 168 della legge fallimentare e, dunque, che l’omesso versamento non costituisse comportamento contra ius, ma fosse stato legittimato dall’avvenuta ammissione alla procedura concorsuale.
Invero, l’orientamento del Tribunale del riesame espresso nella sentenza impugnata, secondo il quale l’obbligo di non procedere al pagamento del debito fiscale deriverebbe già dalla legge, non essendo necessario alcun provvedimento specifico del Tribunale coinvolto, trova qualche raro precedente conforme nella giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. pen., sez. 3, 2 aprile 2019, n. 36320); la base per una interpretazione del genere, come esplicato nella sentenza stessa, è ritenere che la decorrenza degli effetti dell’ammissione dell’imprenditore al concordato preventivo, ai sensi del combinato disposto degli articoli 188, 167 e 168 della legge fallimentare, vada collocata, per effetto della sua efficacia retroattiva, alla data non della adozione del provvedimento di formale ammissione, ma a quella della presentazione formale della domanda, sicché anche i pagamenti eseguiti successivamente a questo adempimento, ma prima del decreto di apertura della procedura, devono essere considerati inefficaci ai sensi dell’art 167 l.f., come affermato nella sentenza della Corte di Cassazione civile del 13 luglio 2018 n. 18729.
Quanto all’orientamento maggioritario espresso nella sentenza della sezione 3 n. 13628/2020, non assumerebbe rilievo la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, poiché la stessa non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengono a scadere successivamente alla sua presentazione, ma prima dell’adozione di provvedimenti da parte del tribunale, essendo applicabile la causa di giustificazione ex art 51 c.p. solo se i provvedimenti che impongono il dovere di non adempiere all’obbligo tributario siano intervenuti prima della scadenza di tale obbligo e, dunque, non siano successivi alla consumazione del reato.
Secondo l’amministrazione ricorrente, dalla lettura sistematica degli articoli 161 comma 7, 167, 168 e 189 l.fall. non sarebbe emerso un dovere del debitore che ha presentato la domanda di concordato di non pagare i propri debiti con l’erario; in caso contrario basterebbe infatti presentare anche una strumentale e superficiale domanda di concordato preventivo prima della scadenza del termine per il pagamento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante per non incorrere nella responsabilità penale, incentivando così la perpetrazione di tali reati e permettendo l’elusione di qualsiasi sanzione.
In diritto, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, prendendo però atto dei due orientamenti e specificando che appare preferibile la soluzione contenuta nella sentenza 13628/20, che incontra tra l’altro il favore maggioritario della giurisprudenza di legittimità, perché più coerente con il dato, difficilmente controvertibile, rappresentato dalla specialità dell’obbligazione tributaria, il cui inadempimento è addirittura assistito, a certe condizioni, da sanzioni penali, a differenza di quanto accade per le comuni obbligazioni.
Concludendo, la Corte chiarisce inoltre che la configurabilità dei reati di omesso versamento anche nel caso in cui il termine rilevante a fini penali venga a scadere dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo, risponde all’esigenza di garantire in modo particolarmente pregnante il credito erariale, rispetto al quale l’ordinamento appronta anche lo strumento della confisca che svolge una funzione avente carattere sostanzialmente ripristinatorio.
Volendo analizzare la questione più nello specifico, la reale questione che si è trovata ad affrontare la Corte è stata dover bilanciare l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche, contenuto nell’articolo 53 della costituzione, con il principio di integrità patrimoniale tipico delle procedure concorsuali.
Alla base dell’orientamento contenuto nella sentenza 36320-19 vi è un obbligo in capo all’imputato di non adempiere all’obbligazione tributaria sulla base della retroattività degli effetti dell’ammissione alla procedura ex articoli 167 e 168. Obbiettivamente dalla lettura di suddetti articoli è impossibile desumere tale obbligo in capo al soggetto che richiede l’accesso alla procedura di concordato; volendo procedere sistematicamente l’articolo 167 al primo comma afferma che il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Al secondo comma invece il legislatore si riferisce a tutti gli atti le cui conseguenze economiche esulano dalla normalità dell’esercizio dell’impresa, affermando il principio secondo cui tali atti, se compiuti senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.
L’ultimo comma, aggiunto tramite il decreto legislativo del 2006, dà al tribunale la possibilità di stabilire un limite di valore al di sotto del quale non è dovuta l’autorizzazione di cui al comma secondo, cercando così di semplificare gli adempimenti più semplici.
Quanto all’articolo 168, esso pone il divieto di iniziare e proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, l’interruzione delle prescrizioni e la non verificazione delle decadenze; all’ultimo comma invece viene posto il divieto di assumere da parte dei creditori diritti di prelazione, sia volontari che giudiziali, che non siano stati regolarmente costituiti prima della presentazione della domanda di concordato.
Evidenziata la mancanza di tale obbligo all’interno dell’ordinamento concorsuale, viene a cadere il presupposto di applicazione dell’articolo 51 del codice penale, ossia l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità. Nella fattispecie concreta ci sarebbe stata l’esclusione della punibilità per l’imputato solo qualora lo stesso avesse richiesto al giudice l’autorizzazione per il versamento IVA e la domanda fosse stata rigettata; non avendola presentata, non ci può essere l’imposizione di un comportamento al soggetto da parte dell’autorità giudiziaria.
Ulteriore spunto di riflessione risiede nell’individuazione dell’obbiettivo giuridico che l’ordinamento ha precostituito per il peculiare istituto concorsuale del concordato preventivo; oltre alla soddisfazione dei creditori, infatti, sussiste l’interesse a che l’impresa che prenda parte alla procedura riesca a rimanere sul mercato e quindi evitare il fallimento. Esempio pratico di ciò è la possibilità di ricevere nuove finanze, a cui viene garantita la prededuzione in caso di dissesto.
Se l’obbiettivo del legislatore è il prosieguo dell’attività economica, conseguenza necessaria è che sull’imprenditore gravano tutti gli oneri di cui all’art 161 della legge fallimentare, ossia quelli dell’ordinaria amministrazione. Tra di essi, come di seguito meglio chiarito, non può non esserci quello al pagamento dei tributi, che, ai sensi dell’art. 53 della Costituzione, è essenziale per le finanze pubbliche, non è (salvo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge) negoziabile ed è posto su un piano di tutela diverso e sovraordinato rispetto alle obbligazioni tra privati.
In definitiva, la sentenza de qua pare condivisibile nelle conclusioni, pur suscitando qualche perplessità relativamente ad alcuni punti dell’iter argomentativo.
In primo luogo, appare erroneo qualificare l’adempimento tributario quale operazione di straordinaria amministrazione, sebbene limitatamente alla affermata improduttività di effetti nocivi dell’eventuale pagamento ai fini della revoca della procedura.
A noi sembrerebbe più lineare e coerente, infatti, considerata la obbligatorietà, periodicità, prevedibilità e quantificabilità dell’obbligazione tributaria, che il suo adempimento sia qualificabile come atto di ordinaria amministrazione e, come tale, rientrante tra quelli espressamente consentiti dallo stesso art. 161, comma 7, l.f. evocato dalla Suprema Corte.
Frutto della progressiva tracimazione dell’autonomia patrimoniale delle società di capitali – accelerata dall’introduzione nell’ordinamento di tipi societari che, a dispetto della appartenenza al genus delle società di capitali, non lo necessitano o prevedono più – è il capo della sentenza ove si afferma che l’impossibilità di pagare il debito tributario in pendenza di concordato avrebbe riguardato, al più, la società, ma non l’amministratore, imputato del reato, che, si lascia intendere, ben avrebbe potuto pagare il debito di tasca propria.
Ebbene in proposito se è evidente che nell’architettura della norma sanzionatoria di omessi versamenti autore del reato non può che essere considerato l’amministratore della società, è parimenti evidente che il debito è e resta debito societario e che qualsiasi valutazione in ordine ad eventuali scriminanti vada svolta nei confronti della società, non del suo amministratore.
Non ci si può lamentare di una struttura societaria troppo piccola, poco organizzata, spesso di carattere familiare, scarsamente professionale, se poi, sotto il profilo penale, continuiamo a considerare l’amministratore (che ben potrebbe, anzi dovrebbe, essere un professionista estraneo alla società) come colui che, per non incorrere nel reato di omesso versamento, avrebbe dovuto pagare con proprie risorse il debito altrui; parimenti dicasi per quanto concerne la confisca, che ci sembra giustificata e giustificabile solo in presenza della rigorosa prova che la società abbia costituito schermo abusivo non dei soci, ma dello stesso amministratore.
Dott. Tommaso Maria Maglione
TESTO DELLA SENTENZA
Cc – 02/12/2021, depositata in data 18.3.2022
RITENUTO IN FATTO
- Con ordinanza del 29 luglio 2021, il Tribunale di Benevento, in sede di riesame, ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Benevento l’8 luglio 2021, in relazione al reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, contestato all’indagato perché, in qualità di amministratore unico della società “Sunset s.r.l.” (già “Dotolo Mobili s.r.l.”), non versava l’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2017, per un importo pari ad € 521.440,72. Il sequestro era finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro nella disponibilità della società coinvolta e, in via subordinata, alla confisca per equivalente dei beni propri dell’indagato, sempre fino alla concorrenza complessiva dell’imposta evasa.
Per quanto qui rileva, la vicenda può essere sintetizzata nei seguenti termini: la società – divenuta da poco “Sunset s.r.l.” – ha presentato in data 24 aprile 2018 ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, con riserva di deposito del piano; con decreto del 2 maggio 2018 il Tribunale di Benevento, sezione Fallimentare, ha concesso un termine per il deposito della documentazione statuendo, in via provvisoria, che per i pagamenti di importo superiore ad € 50.000,00 sarebbe stata necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, previa comunicazione ai commissari giudiziali nominati; nel frattempo, in data 27 luglio 2018, la società ha presentato telematicamente il modello IVA 2018 concernente l’imposta dovuta per l’anno 2017, pari ad € 521.440,00, il cui termine per adempiere scadeva il 27 dicembre 2018; la domanda di concordato corredata dal piano, comprendente proposta di transazione fiscale, è stata depositata il 29 novembre 2018 e il Tribunale Fallimentare, in data 26 giugno 2019, ha adottato il provvedimento di ammissione alla procedura concorsuale, evidenziando la fattibilità giuridica (e non anche economica) del piano e l’opportunità di ammettere la società alla procedura nonostante il dissesto, per via del promesso apporto di finanza esterna. Il Tribunale ha accolto la richiesta di riesame, aderendo all’orientamento minoritario di legittimità secondo cui la semplice presentazione della domanda di concordato preventivo preclude l’adempimento delle obbligazioni tributarie.
- Avverso l’ordinanza il Procuratore della Repubblica di Benevento ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento e deducendo, con un unico motivo di doglianza, la violazione degli artt. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, 51 cod. pen., 167 e 168 del r.d. n. 267 del 1942.
A parere del ricorrente il Tribunale del riesame, nell’annullare il provvedimento del GIP, avrebbe errato nel considerare insussistente il fumus commissi delicti del reato contestato per operatività della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., poiché avrebbe erroneamente ritenuto che il dovere da adempiere fosse imposto dalle norme giuridiche di cui agli artt. 167 e 168 della legge fallimentare e, dunque, che l’omesso versamento dell’imposta dovuta non fosse contra ius in quanto legittimato dall’avvenuta ammissione alla procedura concorsuale. L’interpretazione non condivisa dal ricorrente sarebbe il frutto dell’adesione ad un orientamento minoritario di legittimità, da ultimo espresso dalla sentenza Sez. 3, n. 36320 del 2019, Rv. 277687, secondo cui l’obbligo di non procedere al pagamento del debito fiscale deriverebbe già dalla legge, non essendo necessario alcun provvedimento specifico del Tribunale fallimentare coinvolto, come invece affermato dall’orientamento maggioritario di legittimità.In accordo con tale ultima ricostruzione, non assumerebbe alcun rilievo la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, poiché essa non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengono a scadere successivamente alla sua presentazione, ma prima dell’adozione di provvedimenti da parte del tribunale, essendo configurabile la causa di giustificazione prevista dall’art. 51 cod. pen. solo se i provvedimenti che impongono il dovere di non adempiere all’obbligo tributario siano intervenuti prima della scadenza di tale obbligo e, dunque, non siano successivi alla consumazione del reato (in tal senso, Sez. 3, n. 13628 del 2020, Rv. 279421). In particolare, secondo il ricorrente, dall’art. 161, comma 7, della legge fallimentare non emergerebbe – neppure se letto in maniera sistematica con gli artt. 167, 168 e 189 della medesima normativa – un dovere del debitore che ha presentato la domanda di concordato di non pagare i propri debiti. Se ciò si ritenesse sufficiente si creerebbe un sistema in cui basterebbe presentare anche superficialmente una domanda di concordato preventivo prima della scadenza del termine per il pagamento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante per non incorrere nella responsabilità penale, così incentivando la perpetrazione di tali reati nonché eludendo qualsiasi sanzione.
- Con memoria pervenuta nella cancelleria di questa Corte, in data 11ottobre 2021, il difensore di Dotolo Raffaele ha chiesto il rigetto del ricorso ovvero, nel caso di accoglimento, l’annullamento con rinvio onde consentire al Tribunale di esaminare ulteriori questioni attinenti alla sequestrabilità delle somme ritenute non nella disponibilità dell’indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso è fondato.
Nell’unica censura devoluta in questa sede, il pubblico ministero ha sostenuto che nessun effetto inibitorio rispetto al pagamento dei debiti fiscali potesse derivare dalla semplice domanda di concordato preventivo, cosicché sarebbe sussistente il fumus commissi delicti in presenza di omissione del versamento dei debiti tributari alla scadenza, non essendo vietato il loro adempimento dalla mera presentazione del ricorso per concordato.
1.1. Si rende, dunque, necessaria una preliminare riflessione sulla questione relativa ai rapporti tra il reato tributario in contestazione e la procedura di concordato preventivo, in relazione alla quale si registra un primo orientamento, secondo cui la procedura di concordato preventivo scrimina i reati di omesso versamento, in relazione a obblighi scaduti tra la presentazione dell’istanza di ammissione al concordato – sia esso “in bianco” che con deposito del piano – e l’adozione del relativo decreto, solo ove sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato, come invece richiesto dall’interessato, il pagamento dei suddetti debiti, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 cod. pen. Per contro, in mancanza di dette condizioni, il mero decreto di ammissione al concordato non vale a scriminare “retroattivamente” gli omessi versamenti relativi a debiti scaduti anteriormente. Tale indirizzo interpretativo si pone in linea con gli enunciati della giurisprudenza largamente maggioritaria, secondo cui la procedura di concordato preventivo non inibisce – in linea di principio – il pagamento dei debiti tributari il cui termine di scadenza è successivo al deposito della domanda ( ex multis, Sez. 3, n. 13628 del 20/02/2020, Rv. 279421; Sez. 3, n. 2860 del 30/10/2018, dep. 22/01/2019, Rv. 274822). In particolare, si è affermato che il pagamento del debito trova fondamento nella previsione normativa di cui agli artt. 161, comma 7, e 167 della legge fallimentare, come osservato dalla Cassazione civile, la quale afferma che non è tout court vietato il compimento di atti straordinari (tra cui il pagamento del debito tributario), i quali, se compiuti senza autorizzazione giudiziale, non comportano la revoca della procedura (Sez. 1, n. 11958 del 16/05/2018 Rv. 648456, che richiama Cass. 14887/2017, 7066/2016, 3324/2016, successivamente ribadito da Sez. 1, n. 16808 del 21/06/2019 Rv. 654280). Un argomento a sostegno di questa ricostruzione può essere desunto da Corte cost., ord. n. 256 del 2017, che chiarisce – ove ve ne fosse la necessità – che il soggetto in concordato è la società e non l’imputato, e l’impossibilità di provvedere al pagamento a causa dei vincoli derivanti dal concordato preventivo riguarda solo la società e non anche l’imputato, che è, invece, l’autore del reato. Ne consegue che trova applicazione, anche in relazione alla questione del rapporto fra crisi e concordato, il principio – già richiamato – secondo cui spetta all’imprenditore in crisi, che sa di avere un debito fiscale che verrà a scadenza certa, ponderare la migliore soluzione della crisi di impresa e valutare in tale ambito anche le conseguenze penali della sua eventuale omissione del pagamento del debito. Un ulteriore argomento a favore di tale ricostruzione interpretativa è rappresentato dal fatto che il pagamento dell’ VA – che peraltro è un credito privilegiato ai sensi dell’art. 62 d.P.R. n. 633 del 1972 – dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo non può neanche dirsi diretto a frodare le ragioni dei creditori, in quanto impedisce l’ulteriore depauperamento per i creditori che può derivare dall’imposizione di sanzioni e interessi.
Cionondimeno, il Collegio non ignora il diverso orientamento minoritario – fatto proprio dal giudice del riesame nell’ordinanza impugnata – per il quale, nel caso di ammissione al concordato preventivo, non è configurabile il fumus del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, per l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate in relazione agli obblighi scaduti successivamente alla presentazione dell’istanza di ammissione al concordato, in quanto gli effetti di tale ammissione decorrono dalla data della presentazione della relativa domanda (Sez. 3, n. 36320 del 02/04/2019, Rv. 277687). Si afferma, in particolare, che se il debitore è stato ammesso, prima della scadenza del debito tributario, alla procedura di concordato preventivo con pagamento dilazionato e/o parziale dell’imposta, l’inadempimento è scriminato dall’art. 51 cod. pen. L’assunto si basa sull’interpretazione dell’art. 168, comma 1, legge fallimentare, in verità non riferito espressamente alla condotta che deve tenere il debitore, ma agli “Effetti della presentazione del ricorso”, a tenore del quale, «dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore».
Tutto ciò premesso, tra le due soluzioni proposte appare preferibile la prima, che incontra il favore della maggioranza della giurisprudenza di legittimità, perché più coerente con il dato, difficilmente controvertibile, rappresentato dalla specialità dell’obbligazione tributaria, il cui inadempimento è addirittura assistito, a certe condizioni, da sanzione penale, a differenza di quanto accade per la generalità delle altre obbligazioni. Nell’interferenza fra diritto penale e diritto delle procedure concorsuali, il legislatore ha, dunque, inteso dare spazio all’effettività della tutela penale, anche a scapito della par condicio creditorum, dovendosi considerare che, diversamente opinando, il profitto da omesso versamento – consistente in un risparmio di spesa corrispondente all’entità del tributo non versato – andrebbe di fatto ad incrementare il patrimonio del contribuente. In altre parole, la configurabilità dei reati di omesso versamento anche nel caso in cui il termine rilevante ai fini penali venga a scadere dopo la presentazione della domanda di concordato risponde all’esigenza di garantire in modo particolarmente pregnante il credito erariale, rispetto al quale l’ordinamento appronta anche lo strumento della confisca, la quale svolge una funzione che, vista dal lato dello Stato, ha un carattere sostanzialmente ripristinatorio. La soluzione qui criticata rischierebbe, come sottolineato altresì dal ricorrente, di consentire l’utilizzazione strumentale della domanda di presentazione di concordato preventivo al solo scopo di evitare la responsabilità penale per inadempimento fiscale, quasi giungendo a configurarla come una condizione meramente potestativa di non punibilità.
1.2. Dovendosi ribadire, dunque, la direttrice interpretativa maggioritaria, va rilevato che l’ordinanza impugnata si pone con questa in contrasto, nella parte in cui ritiene che il reato di omesso versamento provvisoriamente contestato all’indagato – per l’inadempimento riferito ad una scadenza rilevante a fini penali maturata dopo la domanda di concordato – debba ritenersi scriminato, essendo stato commesso nell’adempimento del dovere di non compiere atti lesivi della par condicio in pendenza della procedura concordataria.
- Ne consegue che il provvedimento deve essere annullato, con rinvio al Tribunale di Benevento, perché proceda a nuovo esame, uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Benevento.