Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma – Sezione 23 – Sentenza n. 6183 del 10/5/2023
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso regolarmente notificato il Collegio Pontificio Pio Latino Americano impugnava l’avviso di accertamento in atti relativo adi IMU e TASI deducendo: a) la carenza di motivazione, essendo a suo avviso troppo ampia e non delimitata la pretesa, rendendo ingiustificatamente onerosa la difesa per il contribuente;
deduceva infatti che, nonostante a carico del Collegio Pontificio Pio Latino Americano fossero accertati ben 12 immobili con diversa categoria catastale, l’unica motivazione espressa negli avvisi impugnati è “la carenza dei requisiti necessari al riconoscimento del diritto all’esenzione” e “Infedeltà della dichiarazione imu, iuc imu, iuc-tasi”, pur riconoscendo l’esenzione per ben 4 dei 12 immobili accertati; b) la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla normativa per l’esenzione dall’imposta IMU-TASI degli immobili del Pontificio Collegio Pio 4 Latino Americano, ai sensi della normativa in tema di IMU vigente nel 2016 che confermerebbe il diritto all’esenzione dell’immobile di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), D. Lgs. 504/1992; c) – Illegittimità delle sanzioni irrogate per il contesto di incertezza in cui si è trovato il contribuente.
Si costituiva in giudizio il Comune di Roma e riguardo alla prima eccezione affermava di aver offerto e messo a disposizione del Collegio ricorrente tutti i presupposti e i parametri logico giuridici per giustificare la valutazione effettuata e nel merito per la totale assenza di documentazione dei presupposto oggettivi per l’insorgenza del diritto all’esenzione, connessa alla natura oggettiva dell’attività di culto asseritamente svolta all’interno degli immobili, destinati ad alloggi dei clerici e in via neppure gratuita, e dalla ricorrente a suo dire solo declinata in teoria e non dimostrata in concreto.
Successivamente, il Collegio ricorrente depositava memoria con la quale illustrava ulteriormente le proprie tesi, dettagliatamente descrivendo la disciplina statutaria del Collegio a sostegno della dedotta finalità di culto.
All’esito dell’udienza pubblica la causa era discussa e decisa nei seguenti termini.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Come pacifico in giurisprudenza (V. Cass, Sentenza n. 1694 del 24/01/2018), in tema di ICI (e, dunque, deve ritenersi, per identità di ratio, anche in materia di IUC e TASI), l’art. 11, comma 2-bis, del d.lgs. n. 504 del 1992 (applicabile “ratione temporis”), disponendo che gli avvisi di liquidazione e accertamento devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno determinati, non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta.
Pertanto, concordemente con il decisum della citata pronuncia di legittimità, deve ritenersi sufficientemente motivato l’avviso di accertamento, nel quale sono stati indicati i dati identificativi dell’immobile, il soggetto tenuto al pagamento e l’ammontare dell’imposta.
D’altra parte, lo stesso contribuente si lamenta del fatto che per ben quattro dei 12 immobili oggetto di imposizione l’esenzione sia stata di fatto riconosciuta, il che tuttavia a ben guardare conferma la circostanza che la valutazione dell’ufficio non sia stata acritica e sommaria ma abbia ponderato le diverse situazioni.
Venendo all’esame del secondo motivo, relativo alla dedotta sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’esenzione (in relazione a quegli immobili per cui non è stata spontaneamente e di fatto applicata), come esattamente ha rilevato il ricorrente “sono esenti dall’imposta: […] gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque assoggettati all’imposta indipendentemente dalla destinazione d’uso dell’immobile, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
Quindi, i requisiti che devono essere soddisfatti sono: – utilizzo degli immobili da parte di enti non commerciali (requisito soggettivo); – immobili destinati allo svolgimento delle attività tassativamente indicate, tra le quali, come indicato dal ricorrente quelle di religione o culto (primo requisito oggettivo); – le attività tassativamente indicate devono essere svolte con modalità non commerciali (secondo requisito oggettivo).
Orbene, nonostante il Comune di Roma abbia esplicitamente contestato la mancata documentazione, da parte della ricorrente, del concreto svolgimento, all’interno degli immobili per i quali è stato invocato il diritto all’esenzione, di attività di religione o culto tale presupposto è stato da parte del ricorrente argomentato con esclusivo riferimento all’aspetto statutario ed istituzionale, mediante la mera disamina delle finalità teoriche del Collegio; e documentato con la produzione della normativa statutaria – ossia mediante argomentazioni e documenti che possono esser funzionali a sostenere unicamente il presupposto soggettivo, non sono contestate, e non quello oggettivo, oggetto della contestazione da parte del Comune.
In altre parole, non è stata offerta alcuna dimostrazione della effettiva e prevalente destinazione di tali immobili allo svolgimento di attività di religione e di culto.
Invero, il fatto che le esigenze abitative soddisfatte dalle strutture recettizie oggetto di imposizione riguardino preti e studenti e siano finalizzate a consentire agli stessi di partecipare ad un periodo di formazione religiosa e pastorale, non vale a trasformare tale attività ricettiva – peraltro in modo non gratuito -in attività religiosa o di culto.
Tali principi sono stati già affermati dalla giurisprudenza di legittimità che, nell’ordinanza n. 32742 del 07/11/2022, ha affermato, in tema di IMU, che l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, in caso di immobile ad uso misto (nella specie, adibito in parte ad attività di culto ed in parte ad attività commerciale di casa per ferie) si applica unicamente in proporzione alla porzione destinata ad attività non commerciale, anche laddove non sia possibile procedere ad una sua autonoma identificazione catastale, purché vi sia una specifica indicazione del contribuente nella apposita dichiarazione; con ciò confermando che sia onere del ricorrente, sia pure in assenza di una identificazione catastale, dimostrare in quale parte l’attività sia destinata alla formazione religiosa e in che parte sia meramente ricettiva, come “casa di ferie” per religiosi.
Nella precedente sentenza n. 10754 del 2017 (relativa ad una vicenda nel quale la presenza degli alloggi dei religiosi era strumentale allo svolgimento in loco della prioritaria attività didattica, alla quale può esser equiparata quella di formazione del clero) la Corte ha affermato che, nel caso oggetto di tale giudizio, “l’esenzione può trovare applicazione a condizione che sia dimostrato, incombendo il relativo onere probatorio al contribuente, che l’attività in oggetto, di natura didattica (cfr. Cass. sez. 5, 26 ottobre 2005, n. 20776) fosse svolta con modalità non commerciali“. Laddove, al contrario, nel caso in esame deve ritenersi che essendo emersa la previsione di una retta a carico dei religiosi alloggiati, e non essendo neppure stata concretamente dimostrata la effettuazione effettiva di attività di formazione in parte degli immobili, l’affermata modicità della retta non dimostra certo la natura non commerciale della parte destinata a residenza, il che rende l’attività mista, anche laddove dimostrata, non meritevole di esenzione.
Il ricorso deve pertanto essere respinto.
La complessità della questione impone di compensare tra le parti le spese del giudizio
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese di lite.