Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
N. 00260/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00925/2021 REG.RIC.
N. 00973/2021 REG.RIC.
Una diversa interpretazione della disciplina statale (la più volte citata legge n. 160 del 2019) esporrebbe quest’ultima a dubbi di costituzionalità, per violazione manifesta dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca, e dell’art. 23 Cost., sotto il profilo del contrasto con la riserva di legge ivi contemplata.
Più in particolare, se il combinato disposto dei commi 817 e 826 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019 dovesse essere interpretato nel senso di consentire agli Enti locali di variare ad libitum la tariffa da applicare, la concreta misura del canone sarebbe rimessa all’arbitrio imponderabile di quest’ultimi, in assenza di criteri predeterminati a livello legislativo
Il canone unico patrimoniale si qualificherebbe così alla stregua di una prestazione patrimoniale imposta non in base alla legge, bensì unicamente sulla base di decisioni locali.
L’Ente locale interessato – in questo caso, la Provincia di Foggia – verrebbe di fatto abilitato, contro ogni previsione costituzionale, all’esercizio di funzioni legislative, data la delega in bianco desumibile da tale erronea interpretazione della legge n. 160 del 2019.
Sul punto, la Corte costituzionale ha chiarito che, per soddisfare la riserva di legge contenuta nell’art. 23 Cost., la legge deve rispondere ai seguenti requisiti: a) una “preventiva determinazione di sufficienti criteri e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa” (sentt. n. 240 del 2017; n. 307 del 2013; n. 33 del 2012; n. 350 del 2007; n. 105 del 2003; n. 435 del 2001; n. 157 del 1996; n. 4 del 1957); b) la “necessità che l’entità della prestazione imposta sia chiaramente desumibile dalla legge” (sentt. n. 168 del 2020; n. 115 del 2010, n. 190 del 2007 e n. 236 del 1994).
È chiaro che la legge finanziaria in questione, nell’interpretazione avversata dalle ricorrenti, non soddisferebbe nessuno dei due criteri individuati dalla costante giurisprudenza costituzionale.
Esemplare, in tal senso, si dimostra la vicenda in esame. Il citato art. 1, comma 824, nello stabilire i criteri di determinazione del canone, prescrive agli Enti locali di tener conto, fra l’altro, della tipologia, della finalità e della zona di occupazione. La legge in questione, tuttavia, omette di stabilire a quale tipologia, finalità o zona di occupazione corrisponda un canone maggiore o minore.
Nella fattispecie, è evidente la volontà della Provincia di Foggia di disapplicare (o applicare in modo arbitrario e illogico) i criteri stabiliti a livello legislativo, introducendo, in luogo di essi, “criteri propri”, per il tramite di coefficienti non previsti dalla legge n. 160/2019.
Quanto esposto farebbe emergere un profilo di irragionevolezza intrinseca del complesso normativo di cui deve farsi applicazione nella presente controversia.
In coerenza con l’evoluzione storica della disciplina in materia di occupazione di suolo pubblico, la legge n. 160/2019, da un lato, si mostrerebbe attenta a parametrare la tariffa standard sulla misura dell’effettiva occupazione, mentre, dall’altro, esporrebbe il concessionario all’arbitrio degli Enti locali, i quali potrebbero introdurre parametri di calcolo diversi, come in effetti ha provveduto a fare la Provincia di Foggia.
Un’esegesi costituzionalmente orientata della normativa in esame consente di escludere e disattendere l’interpretazione che ne ha dato la Provincia resistente.
VIII – In conclusione, i riuniti ricorsi (e i connessi motivi aggiunti) devono essere accolti, nella parte in cui sono ammissibili sotto il profilo della giurisdizione, con conseguente annullamento degli atti regolamentari impugnati.